BRUCH | BRUCKNER
James Feddeck direttore
Daniel Lozakovich violino
Filarmonica del TCBO
23 Ottobre | H 20.30
Auditorium Manzoni
Grazie al progetto “Note a margine” tutti i concerti della Stagione Sinfonica 2023, saranno introdotti da una guida all’ascolto a cura della Direzione artistica del Teatro Comunale di Bologna. Le introduzioni si svolgeranno 30 minuti prima dell’inizio del concerto,
presso il foyer/zona bar dell’Auditorium Manzoni.
23 Ottobre | H 20.30
Auditorium Manzoni
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PROGRAMMA
Concerto per violino e orchestra n. 1, op.26
«Da qui a 50 anni Brahms apparirà uno dei massimi compositori di sempre, mentre io sarò ricordato principalmente per aver scritto il Concerto per violino in Sol minore». Max Bruch peccava di pessimismo, ma fu buon profeta di sé stesso (e dell’amico Johannes). E sebbene il Primo Concerto non sia l’unico capolavoro del suo catalogo, di sicuro è il più conosciuto. Nel repertorio del XIX secolo, in Germania, solo i concerti di Beethoven, Mendelssohn e dello stesso Brahms possono competere in notorietà con quello di Bruch. Persino durante una sua visita a Napoli si vide omaggiare con un’esibizione improvvisata in cui venne accennato qualche passaggio del primo movimento. Aneddotica a parte, questa magnifica e ispiratissima pagina del 1866 contiene slanci genuinamente romantici, sorretti da facilità melodica e libertà costruttiva.
Sinfonia n. 2 in do minore
Seconda per il catalogo bruckneriano, ma in realtà quarta in ordine assoluto di composizione (contando anche le “declassate” sinfonie n. 0 e quella in Fa minore), la Sinfonia n. 2 vide la luce nel 1873, quasi sette anni dopo la Prima, che era stata malamente accolta – soprattutto dai musicisti – per le difficoltà pratiche che presentava nella sua esecuzione. Ecco perché Bruckner, reduce da una fortunata tournée londinese in cui era stato chiamato a improvvisare sull’organo della nuova Royal Albert Hall, qui si preoccupa di semplificare il discorso, cominciando a ricorrere sempre di più a un suo tipico marchio di fabbrica: le pause ampie e meditative (da cui il nome apocrifo di “Pausen-Symphonie”). In realtà la bellezza di questo capolavoro albeggiante sta nella sua capacità di far germogliare idee musicali quasi dal nulla e di sorreggerle con sviluppi avvolgenti, di una cantabilità immediata, quasi schubertiana.