EVENTO SPECIALE
DIE WALKÜRE
LA MELODIA DI WAGNER
CON ALBERTO MATTIOLI
16 ottobre | H 18.30
SALABORSA - AUDITORIUM BIAGI
EVENTO GRATUITO SU PRENOTAZIONE
Prenotazioni disponibili dal 9 ottobre ore 17:00
giornalista
Prima giornata del Ring des Nibelungen, quindi secondo titolo della tetralogia, le origini di Die Walküre risalgono all’abbozzo in prosa Siegfrieds Tod, che Wagner stese fra l’8 e il 20 ottobre 1848, il cui soggetto corrisponde a quel che sarebbe poi diventata la terza e ultima giornata, Götterdämmerung. La necessità di spiegarne gli antefatti indusse Wagner a risalire indietro con la storia, sicché si può dire che abbia concepito l’Anello partendo dalla fine. Per quel che riguarda più specificatamente Die Walküre, l’abbozzo in prosa (per inciso l’unico, fra i quattro originari, ad avere fin dall’inizio lo stesso titolo del dramma musicale definitivo) fu scritto fra il 17 e il 26 maggio 1852, e la sua trasformazione in poema fra il primo giugno e il primo luglio dello stesso anno. Per quel che riguarda la musica, Wagner seguì invece l’ordine dei quattro Musikdrama, iniziando la composizione dal prologo, Das Rheingold. Il lavoro sulla partitura della Valchiria principiò il 28 giugno 1854; l’opera fu completata il 23 marzo 1856. Com’è noto, la composizione del Ring si arrestò dopo i primi due atti di Siegfried, precisamente il 9 agosto 1857: la forza d’attrazione di Tristan und Isolde era irresistibile, mentre sull’autore si abbatteva il doppio choc, intellettuale e sentimentale, costituito dalla lettura del Mondo come volontà e come rappresentazione di Schopenhauer, che cambiò l’intero impianto, diciamo così, “filosofico” dell’Anello, e l’amore per Mathilde Wesendonck. Di quest’ultimo, sull’autografo di Valchiria si trovano due tracce, cifrate ma inequivocabili, entrambe nel primo atto: i criptogrammi “G S M”, “Gesegnet sei Mathilde”, sii benedetta Matilde, e “S m g M”, “Sei mir gegrüßt Masthilde”, abbi il mio saluto Matilde.
Wagner riprese il lavoro sul Ring soltanto il 22 dicembre 1864, cioè sette anni e cinque mesi dopo che l’aveva abbandonato, e Il crepuscolo degli dei fu completato il 21 novembre 1874: vero che nel frattempo era nata anche la commedia Die Meistersinger von Nürnberg. Ovviamente, l’autore avrebbe voluto presentare il Ring a Bayreuth, nel Festspielhaus costruito appositamente e dove in effetti l’intero ciclo fu rappresentato per la prima volta nell’agosto del 1876. Ma a quella data il pubblico aveva già potuto vedere sia Rheingold che Walküre, e contro la volontà di Wagner, costretto per una volta a cedere ai desideri dell’amico incoronato e mecenate, Luigi II di Baviera, che in fin dei conti era chi pagava i conti (fra parentesi: una volta per tutte, bisogna chiarire che lo sventurato Re di Baviera, “Ludwig” per gli affezionati al film di Visconti, non capì mai che Wagner era Wagner, e insomma gliene sfuggì sempre l’enorme statura artistica. Per lui, era soprattutto un fornitore di saghe nibelungiche, che nella sua sovreccitata fantasia contendevano il primo posto, bizzarramente, alle suggestioni del Grand siècle francese). Così, Das Rheingold ebbe la sua prima rappresentazione assoluta il 22 settembre 1869 all’Hof und Nationaltheater di Monaco, oggi solo National; Die Walküre, nello stesso teatro, il 26 giugno 1870. In Italia, La valchiria arrivò insieme all’intero Anello nell’aprile 1883 alla Fenice, due mesi dopo la morte di Wagner proprio a Venezia, con la tournée della compagnia di Angelo Neumann, direttore Anton Seidl, e curiosamente in tedesco, in un’epoca in cui le opere venivano sempre tradotte. La compagnia fece subito dopo tappa nella wagneriana Bologna, dove il Comunale accolse l’intera tetralogia dal 21 al 25 aprile: il turno di Die Walküre cadde domenica 22, con inizio alle 20.30, anzi “alle ore 8 e mezza”, come da locandina: non c’erano allora problemi sindacali di straordinari e sforamenti d’orario. La prima rappresentazione “singola” fu invece al Regio di Torino il 22 dicembre 1891 (a Bologna nel 1897), con il debutto della traduzione ritmica di Angelo Zanardini rimasta poi più o meno “de rigueur” sulle patrie scene almeno fino agli anni Cinquanta, e tuttora rimpianta da qualche irriducibile, o attardato.
Del poker operistico dell’Anello, La Valchiria è l’opera più rappresentata singolarmente. Difficile vedere le altre tre se non nel contesto dell’intero ciclo, sia pure “spalmato” su più stagioni come oggi è ormai più la regola che l’eccezione. Die Walküre si dà invece spesso anche da sola; ed è un’usanza consolidata anche eseguire in forma di concerto il primo atto, che richiede soltanto tre delle sei prime parti e nessuna delle otto valchirie. Certo L’anello è un ciclo unitario, dove fin dall’inizio si pongono le basi, drammaturgiche e musicali, di quello che finirà tre giornate e sedici ore dopo. Ma Die Walküre, pur piena com’è dei temi conduttori già esposti nel Prologo, e dei monologhi che riassumono le vicende precedenti, è forse la giornata più compiuta: se ne esce senza alcuna impressione di incompletezza. E poi, ammettiamolo, La Valchiria ha due atout che la rendono forse più appetibile. Il primo è che il tema centrale dell’opera è l’amore, l’amore assoluto, irragionevole, delirante, benedetto dalla Natura e superiore a ogni legge umana e divina, perfino del tabù supremo dell’incesto; e anche l’amore paterno (e filiale), che fa sì che Wotan debba certamente punire la figlia valchiria Brünnhilde, ribelle alla sua volontà perché appunto commossa dall’immensa passione di Siegmund e Sieglinde, ma lo faccia con un dolore che si coagula in una delle pagine più liricamente strazianti uscite dalla penna di Wagner. Il secondo elemento è che Die Walküre è il titolo più “melodico” del Ring, e forse dell’intero teatro wagneriano. Lo spiega molto bene Guido Salvetti, dopo aver illustrato la sbandata per Mathilde: “La scelta musicale che nasce da questo coinvolgimento emotivo è sostanzialmente la melodia cantabile e appassionata, che tanto più giunge a stupirci dopo l’inibita declamazione dell’Oro del Reno e la corrispondente teoria contenuta in Opera e dramma. E invece nella Valchiria è pienamente operante la correlazione fra commozione del personaggio e tensione melodica del suo canto. La melodia vocale si riflette negli assoli del clarinetto basso, dell’oboe, del corno inglese, dei violoncelli e così via. La vicenda dei due amanti-fratelli, che coinvolge intensamente le passioni di Brünnhilde e Wotan, rimane così avvolta da un melodizzare aperto, trascinante”. In effetti, in quest’opera “cantano” anche i silenzi: l’“espressione estatica”, per usare un termine schopenhaueriano, trova forse il suo culmine nella celebre scena in cui Brünnhilde svela a Siegmund, che sta vegliando Sieglinde dormiente, il suo prossimo e tragico destino. È quello che le vecchie care guide wagneriane classificavano come “L’annuncio di morte”. La solennità del momento, fra le vette del teatro musicale di ogni tempo, anzi la sua “macerata e tremenda immobilità” (sempre Salvetti) è costruita su un uso magistrale delle pause.
Tutto questo spiega perché Die Walküre sia, da sempre, una delle principali fonti delle hit wagneriane più amate, quelle che tutti andiamo ad ascoltare scegliendo le tracce dei compact disc (almeno per chi ha una certa età), anche se non l’ammetteremmo mai. Una notorietà pop è toccata e tocca così, oltre che ai momenti già ricordati, al monologo di Siegmund del primo atto, con i vociomani più feticisti che arrivano a cronometrare la lunghezza del “Wälse! Wälse!”, al duetto d’amore e di primavera fra i fratelli incestuosi, allo straziante addio di Wotan, e a quella che è forse la più bella frase dell’intera tetralogia, quella con cui Sieglinde ringrazia la valchiria, “O hehrstes Wunder, herrliche Maid!”, o sublime miracolo, o vergine stupenda!, dove davvero la voce si spalanca sull’immensità. E poi, naturalmente, la celebre o famigerata “cavalcata” delle valchirie, immortalata da un film famoso che però ha non poco contribuito a dare di Wagner un’immagine forse non del tutto sbagliata, ma certamente parziale. Però con Robert Duvall-colonnello William Kilgore che la usa come colonna sonora distruggendo dall’elicottero innumerevoli villaggi vietnamiti il “Walkürenritt” c’entra poco. Le valchirie di Wagner sono sì giulive, e vanno certo sul campo di battaglia, ma non per battersi: per raccogliervi gli eroi caduti e portarli nel Walhalla.
16 ottobre | H 18.30
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